L’avvelenamento dei cinghiali come unica soluzione dell’emergenza

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Sono circa 10 anni che i cinghiali arrecano, anno dopo anno, sempre più danni alle aziende agricole. Sono arrivati anche nei centri abitati e rappresentano l’angoscia di molti automobilisti durante le ore notturne. In molte zone d’Italia la situazione è insostenibile. Ed è così anche in altre parti del mondo, come ad esempio, negli Stati Uniti d’America. 

L’approccio pragmatico degli americani ha permesso di studiare un metodo efficace per il contenimento dei cinghiali: il veleno. Si tratta di un prodotto in commercio anche in Italia come veleno per topi. Secondo lo studio pubblicato su autorevoli riviste scientifiche, basterebbero 150 grammi di prodotto per uccidere un cinghiale adulto senza arrecargli dolore e senza rilasciare nell’ambiente residui tossici. Il prodotto è un anticoagulante reso appetibile soltanto ai cinghiali e ai ratti. Nello studio scientifico è stata anche testata una metodologia per impedire ad altri animali di cibarsi anche solo accidentalmente del veleno. I risultati sono stati strabilianti: riduzione della popolazione prossima al 100% nel giro di pochi giorni. Inoltre, è stato dimostrato che se la carcassa diventasse il cibo di lupi o volpi, non ci sarebbe alcun danno rilevante per essi. Infine, il cinghiale avvelenato, nel caso in cui venisse ucciso dai cacciatori, sarebbe facilmente riconoscibile dalla colorazione anomala del grasso del corpo.

Ebbene, in Italia, pur di non affrontare il problema con lo stesso pragmatismo americano, si spendono milioni di euro ogni anno in risarcimenti per i danni arrecati dai cinghiali, a cui bisogna aggiungere le spese sostenute in recinzioni e altre forme di deterrente installate, dal pubblico e dai privati cittadini, per prevenire i danni e a cui bisogna aggiungere tutti gli oneri che sta sostenendo lo Stato nelle zone dove l’epidemia di Peste Suina Africana si è presentata (spese di abbattimento suini allevati a rischio contagio, risarcimenti agli allevatori, realizzazione di recinzioni contenitive, spese di monitoraggio, ecc.). Siamo il Paese di Pulcinella. 

In Italia basterebbe una legge del Parlamento per regolare l’utilizzo del veleno e contenere la popolazione di un animale che non è più rientrante nella definizione di “specie selvatica” e quindi non più meritevole dello status di tutela. La legge potrebbe recitare così: “In caso di emergenza sanitaria nazionale conseguenza della sovrappopolazione ed in deroga alla normativa vigente in materia di tutela, i cinghiali che possano arrecare pregiudizio a cose o persone possono essere abbattuti con mezzi chimici con le modalità indicate dal Ministero dell’ambiente”. 

Operativamente, gli agricoltori e i cittadini, tramite un modulo semplificato, andrebbero a segnalare alla Regione la presenza di danni da cinghiali. L’avvelenamento andrebbe autorizzato dalla Regione dopo un sopralluogo dei tecnici e realizzato dai veterinari dell’ASL. 

La caccia e l’abbattimento con arma da fuoco non è più una soluzione, sia perché i cinghiali hanno imparato ad evitare il pericolo, sia perché ci sono aree dove è praticamente impossibile sparare come ad esempio i centri abitati e i campi pianeggianti coltivati o quelli con scarsa visibilità. Le uniche recinzioni efficaci contro i cinghiali sono quelle in cemento armato, vogliamo costringere gli agricoltori a tale sforzo economico e psicologico? Perché i privati cittadini devono difendersi da un animale che è di proprietà dello Stato? Si tratta di una vera e propria violenza il costringere i privati cittadini a doversi recintare la propria azienda o il proprio giardino. 

Il veleno, invece, nel giro di pochi giorni risolve un problema oramai esasperante. E’ più importante il benessere dei cinghiali o il benessere degli agricoltori o degli automobilisti? La politica si assuma la responsabilità di decidere, prima che sia troppo tardi. L’avvelenamento sarebbe la modalità più rapida, efficace ed economica per risolvere definitivamente il problema dei cinghiali. 

Antonio Di Matteo, agricoltore di Tursi (MT)

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