Indagine CNA: le imprese “in rosa” crescono anche durante la crisi ma il tetto di cristallo rimane intatto

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Maria Chita,  occorre potenziare i servizi di welfare per conciliare tempi di vita e di lavoro con riferimento all’infanzia  ma anche alle persone anziane.

Le imprese al femminile più forti del Covid-19.

L’imprenditoria femminile è una realtà di grande valore per l’economia nazionale. Secondo i dati Unioncamere, oltre un quarto dei ruoli imprenditoriali italiani sono coperti da donne: per la precisione, 2,8 milioni in termini assoluti equivalenti al 26,8% del complesso di titolari, amministratori e soci d’impresa del nostro Paese.

Nel 69,7% dei casi le donne non svolgono una funzione ausiliaria ma sono responsabili in prima persona dello sviluppo del progetto imprenditoriale in qualità di titolari (29,2%) e/o di amministratrici (40,5%). Considerato che il numero delle imprese registrate alle Camere di commercio è pari a circa sei milioni ne deriva che le donne operano mediamente in una impresa su due e che rivestono ruoli apicali di titolare e/o di amministratore quasi in un’impresa su tre.

Un primo commento di Maria Chita, Presidente del Comitato Impresa Donna di Cna Matera, è quello che occorre assolutamente potenziare il welfare a disposizione delle lavoratrici autonome sia con riferimento ai servizi all’infanzia come pure alle persone anziane, tenuto conto che le imprenditrici soprattutto al Sud oltre che dei figli più piccoli si occupano molto spesso anche dei propri parenti anziani (genitori e suoceri). Altro dato interessante è quello relativo alla resilienza delle imprese al femminile che hanno retto bene l’urto derivante dalla Pandemia da Covid-19 dimostrandosi in molti casi più resilienti della restante parte delle imprese.

Servizi al femminile

Ma quali sono i settori dove operano principalmente le donne imprenditrici? A prevalere nettamente sono i servizi. E in particolare i servizi alla persona, un aggregato che comprende parrucchieri, centri estetici, tinto-lavanderie, nel quale il tasso di imprenditorialità femminile raggiunge il 52%. Dietro i servizi la presenza femminile è maggiormente rimarchevole nell’ordine in: turismo (35,9%), agricoltura (29,3%), commercio (27,2%) e, fanalino di coda, manifatturiero (16,9%). Non nell’intero comparto manifatturiero, però, il ruolo giocato dalle donne è residuale: la presenza femminile è sicuramente rilevante nell’abbigliamento (nel quale il 44,7% dei ruoli imprenditoriali è ricoperto da donne), nel tessile (32,6%) e nella pelletteria (30%). Beninteso, anche al di fuori della filiera dell’abbigliamento la presenza femminile si fa onore: è il caso del comparto alimentare (29,2%) e di gioielli e accessori (23,6%). Insomma, il Made in Italy si tinge di rosa proprio nelle sue produzioni universalmente riconosciute di alta qualità e di più incisiva attrazione nel mercato globale. 

Dove l’impresa è donna

A livello territoriale, i tassi di imprenditorialità femminile più consistenti si registrano nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest del nostro Paese. Il peso relativo delle donne a livello regionale è all’apice in Val d’Aosta (30,5%), Umbria (29,7%), Molise (29,5%), Abruzzo (28,9%) e Piemonte (28,7%). All’opposto si situa il Trentino Alto Adige, con una quota del 23,6%.

Il ruolo delle donne ai più alti livelli decisionali è cresciuto proprio nell’ultimo decennio, mentre le crisi di varia natura mordevano più forte l’Italia. Tanto che tra il 2014 e il 2021 i ruoli apicali “in rosa” sono aumentati di circa 63mila unità. Un dato di certo non irrilevante: nel medesimo lasso di tempo gli uomini sono calati di oltre 31mila unità. A livello relativo, tra il 2011 e il 2021 a fronte dell’incremento pari all’1,6% delle imprenditrici si è rilevato una diminuzione del 3% degli imprenditori. Nel 2021, in particolare, le imprese femminili hanno conseguito un aumento di 11.500 unità rispetto al 2020.

Occupazione in retromarcia

Allargando il raggio dell’azione analitica all’intero mercato del lavoro si rileva che nel 2020 il tasso di occupazione femminile si attestava al 52,1%, quasi venti punti in meno di quello maschile (71,8%).  Oltre a risultare il secondo più basso dell’Unione europea (dietro la Grecia), dal 2019 al 2021 il tasso di occupazione femminile in Italia si è anche ulteriormente ridotto in maniera più marcata rispetto a quello maschile: -2% e -1,5%. Una penalizzazione che si spiega tanto con la contrazione di settori lavorativi a maggiore presenza femminile (dal turismo alla moda, dai servizi alla persona allo spettacolo) quanto con il maggior impegno casalingo richiesto alle donne nel periodo del confinamento e in genere della pandemia. Inoltre, non aiuta la differenza di retribuzione ancora diffusa: nel settore privato la retribuzione oraria dei dipendenti uomini supera quella delle donne di 7,2 punti percentuali.

Piccole imprese, nessuna discriminazione

Va messo in risalto, però, che se nelle grandi imprese la retribuzione maschile è in media superiore di 17,2 punti a quella femminile, nelle piccole imprese il divario quasi si annulla calando all’1,8%. Lo stesso vale per la presenza di donne lavoratrici dipendenti. Rispetto a una media di occupazione “rosa” pari al 40,5% nell’intero sistema produttivo, nelle micro-imprese fino a nove dipendenti la quota di posti di lavoro occupati da donne supera il 47%.

Le richieste alla politica

Dai dati elaborati dalla CNA emergono quindi delle indicazioni precise. In primo luogo, l’imprenditoria permette alle donne di raggiungere una piena realizzazione personale e di ricoprire ruoli di responsabilità, spesso difficilmente accessibili in altri ambiti lavorativi. Essa è un vero e proprio ascensore sociale in grado di consentire alle donne di esprimere al meglio il loro potenziale, conciliando il lavoro con la vita privata.

Le donne imprenditrici dimostrano, inoltre, di essere più inclusive nei confronti delle lavoratrici dipendenti che, specie nelle imprese più piccole, vedono riconosciuti merito, impegno e qualità alla pari dei colleghi maschi.

Ovviamente vi è ancora un trade-off tra la maggiore libertà, offerta dalla scelta di essere imprenditrici, e le minori tutele rispetto a quelle garantite dal lavoro dipendente. È per questo che il percorso che porta alla piena parità di genere, e alla completa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non può dirsi ancora completato. Per promuovere l’auto-imprenditorialità rosa sono necessari interventi ben calibrati: l’assegno unico universale per i figli a carico e le misure previste dal Pnrr sono un primo importante passo per l’eliminazione di qualsivoglia disparità di genere.

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