Taranto, 21 settembre 2023 – “Non è solo un gioco”: come liberare i giovani dalla dipendenza dal gioco d’azzardo.

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Si è tenuta oggi, 21 settembre, nella sede tarantina dell’Uniba, la giornata di formazione sul gioco d’azzardo patologico promossa con l’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche GAP e Cyberbullismo (Di.Te.).

Si è tenuta oggi, presso la Sala Conferenza dell’Università Dipartimento Jonico (in Via Duomo 259), la giornata di formazione “Non è solo un gioco. Valutazione, diagnosi e trattamento” a cura del Dipartimento di dipendenze patologiche della Asl Taranto in collaborazione con l’’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche GAP e Cyberbullismo (Di.Te.).

Secondo l’ultima analisi del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia (Health Behaviour in School-aged Children, Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), gli adolescenti che hanno scommesso o giocato del denaro almeno una volta sono il 42,2% e circa 700mila minorenni hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno. Di questi, quasi 70mila sono già giocatori problematici, ovvero che assumono comportamenti che sconfinano nella patologia.

In Asl Taranto opera il servizio per le dipendenze comportamentali, un team dedicato che afferisce al Dipartimento Dipendenze Patologiche: “Il servizio per le dipendenze comportamentali attualmente ha in carico 204 persone e, di queste, 54 sono state prese in carico dall’inizio dell’anno – ha dichiarato la direttrice del Dipartimento dipendenze patologiche Vincenza Ariano – Circa in un terzo di questi casi, si tratta di persone molto giovani, con un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, che giocano prevalentemente online e che sono collegati più che altro di notte e che rappresentano un fenomeno al quale dobbiamo dare delle risposte.”

La giornata è stata una utile occasione di confronto e formazione per medici e infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori, professionisti della salute e altre professionalità che affrontano questo fenomeno sempre più preoccupante. Grazie alla presenza di relatori di primo livello, i partecipanti hanno potuto confrontarsi sulle tematiche relative al gioco d’azzardo patologico che vede un incremento legato alle nuove tecnologie.

“La dipendenza da gioco d’azzardo è una patologia preoccupante – ha affermato il direttore generale Gregorio Colacicco – tanto più perché, attraverso le nuove tecnologie, riesce a colpire i più giovani. La nostra responsabilità è quella di formarci per fornire risposte tempestive e, quindi, ben vengano gli interventi di professionisti di così alto livello come quelli intervenuti qui oggi”.

La conferenza è cominciata con l’intervento del divulgatore scientifico Gianluigi Bonanomi che ha parlato alla platea di intelligenza artificiale generativa, evidenziando anche quali sono gli aspetti positivi di questa tecnologia: “Il grande tema di questi giorni e dei prossimi anni è certamente l’intelligenza artificiale, dopo l’esplosione di ChatGPT e gli altri strumenti simili – ha affermato Bonanomi – Molti hanno paura per la potenza straordinaria di queste macchine, degli algoritmi, ma il messaggio dovrebbe invece essere questo: non è l’intelligenza artificiale che potrà rubarci il lavoro ma, probabilmente sarà chi è in grado di utilizzarla che potrebbe costituire una minaccia. Per questo è fondamentale per tutti noi acquisire quelle competenze che ci permettano di usare queste tecnologie per aiutarci nello studio o nel lavoro”.

La mattina è proseguita con gli psicoterapeuti Giuseppe Lavenia e Riccardo Marco Scognamiglio. “L’educazione digitale, ovvero la consapevolezza digitale, è un tema molto importante – sostiene il professor Lavenia, che è anche presidente dell’Associazione Di.Te., che si occupa da diversi anni del disagio psicologico e sociale causato dalle patologie internet correlate – Molte ricerche ci dicono che sin da piccolissimi i bambini vengono posti di fronte agli schermi dei cellulari e per questo è fondamentale la formazione e la sensibilizzazione, per conoscere i rischi ma anche le potenzialità delle nuove tecnologie e utilizzarle in modo adeguato e riuscendo a riconoscere i comportamenti patologici o il cyberbullismo.”

“L’obiettivo odierno è creare una cultura per far sì che questo fenomeno, che è mimetizzato, perché tutti usiamo cellulare e computer senza renderci conto degli effetti, cominci a essere compreso e riconosciuto – ha dichiarato lo psicoterapeuta Riccardo Marco Scognamiglio, esperto in cura e setting assistenziali – Ad esempio il ritiro sociale è poco considerato, le famiglie non lo riconoscono, abbiamo visto come spesso la segnalazione avvenga dopo tre anni, dopo due anni di bocciature, perché il disagio di questi ragazzi non rientra in un quadro a cui siamo abituati. Per questo l’approccio e la cura vanno ripensati, perché il fenomeno è attivo dal 2004, ma internet e il suo sviluppo esponenziale in questi ultimi anni ha cambiato tantissimo nelle relazioni ma anche nella mente e nelle strutture neurali delle persone.”

La chiusura della giornata è stata a cura della celebre psicologa criminologa Roberta Bruzzone che ha parlato del lato oscuro dei social.

Il Servizio per le Dipendenze comportamentali della ASL di Taranto consta di una équipe multidisciplinare coordinata dalla dottoressa Katia Pierri, psicologa e psicoterapeuta, e che comprende, oltre a lei, uno psicologo psicoterapeuta, un medico, due assistenti sociali, un educatore professionale e un sociologo. “Per quel che riguarda i nostri utenti a Taranto e provincia, la fascia d’età si è notevolmente abbassata e ha un approccio a queste condotte patologiche molto differente rispetto all’utenza degli anni passati – ha dichiarato la dottoressa Pierri – I nativi digitali utilizzano principalmente quei device che fanno già parte della vita di tutti noi. Vogliamo porre l’attenzione sul fatto che queste abitudini quotidiane, in realtà, possono avere un risvolto psicopatologico”. Ma una via d’uscita c’è: “Certamente bisogna intraprendere un percorso lungo, che dura almeno un anno, un anno e mezzo, seguito poi da controlli periodici – conclude Pierri – Richiede molto impegno e non solo il coinvolgimento della persona che ci chiede aiuto ma anche di tutto il sistema familiare e la rete sociale che lo circonda, ma abbiamo dei buoni risultati, riusciamo a compensare e a portare in remissione il disturbo.”

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