
Era il 26 luglio 1986 quando la collina Timpone, a monte di Senise, sprofondò. Un’intera borgata venne travolta da una valanga di terra, trascinando via otto vite e segnando per sempre la storia della comunità.
Sotto quelle macerie morirono Rocco Gallo e sua moglie Rita, Giuseppe ed Elena Formica e la loro figlia Francesca, venuta al mondo solo 32 giorni prima. Persero la vita anche i tre piccoli fratelli Durante: Pinuccio, Maria e Maddalena. Dalle macerie vennero estartti vivi tre bambini: Giovanni e Francesco, protetti dai corpi dei genitori, e la cuginetta Lucia, primogenita di Giuseppe ed Elena.
Oggi, a 39 anni di distanza, il ricordo deve restare vivido. Non solo per il dolore che quella giornata ha lasciato, ma anche per la consapevolezza che quella frana poteva essere evitata. La collina mostrava segni di cedimento già da tempo: smottamenti, crepe nei muri, marciapiedi che si sollevavano. I residenti avevano più volte denunciato la situazione, ma le loro voci non furono ascoltate.
Un anno prima, nel 1985, il Genio Civile aveva proposto interventi urgenti per la messa in sicurezza del versante, ma i lavori non partirono mai. L’inerzia, la burocrazia e l’illusione che nulla di grave potesse accadere fecero il resto. La zona era già allora considerata ad alto rischio idrogeologico, eppure nulla si mosse in tempo.
Quel disastro, come purtroppo molti altri in Italia, fu figlio di negligenze umane, non della natura. Nessuno fu mai ritenuto davvero responsabile.
Ricordare oggi la frana del Timpone significa restituire dignità alle vittime, ma anche ribadire l’urgenza di una cultura della prevenzione e della responsabilità. Perché tragedie annunciate come quella di Senise non si ripetano più. Anzi, non si ripetano ”ancora”.

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