Storia di Giuseppe.. Racconto di Vito Coviello, scrittore non vedente materano.

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Storia di Giuseppe………..Giuseppe, di Maria Ferrara, la sua mamma, e della madonna, ne portava il nome. Si affacciò alla vita in un povero villaggio contadino, ai piedi del Carmelo, in una famiglia ancor più povera, tra tre fratelli e tre sorelle. Bambino appena nato, l’avevano ritrovato nella stalla, tra, del cavallo, gli zoccoli. Ancora bambino aiutava la famiglia in campagna e anche andando a vendere le uova del loro piccolo pollaio, ma andava anche a scuola alle elementari di Lagopesole, andando a piedi, con il brutto e con il bello, attraversando a piedi nudi il fiume per conseguire quel suo diploma della scuola del regno, con lo stemma regio che tanto lo fece felice, da conservarlo per tutta la vita. Giovane diciottenne, andò in guerra dopo la morte del fratello Vincenzo, ferito in battaglia a Metaponto a difesa del ponte ferroviario sul fiume Bradano. A Nettuno fece l’addestramento sotto la protezione della santa Maria Goretti, a lei devoto per tutta la sva vita. Quando al porto di Napoli, per imbarcarsi stava, per in Africa, a combattere andare, la nave fu colpita ed una scheggia sulla guancia sinistra un lungo segno gli lasciò. A Firenze mentre faceva dei meteoralagisti il corso, l’armistizio arrivò, e lui ed un altro soldato di Ferrandina ed un calabrese di Reggio, dopo aver venduto, a borsa nera, copertoni ed altre attrezzature, per tornare nella sua terra, da sua mamma Maria, a piedi per 18 giorni andò. Lungo la strada del ritorno ad un posto di blocco tedesco un capitano una Luger pistol, addosso gli trovò, ma anzichè fucilarlo, buttatagli la pistola tra i cespugli, gli disse di a casa dalla sua mamma tornare. Lungo la strada, mangiavano la frutta e l’uva che trovavano, e capitò che leggendo sulla parete della cascina :Viva il vino…….Il saggio contadino disse di non aver voluto scrivere viva il re, o viva il duce. Arrivato a Sarnelli dalla sua mamma Maria, non aveva neanche fatto io tempo a salutare la sua famiglia, che i carabinieri, per una spiata dei fascisti, lo presero, e sul treno per il fronte lo mandarono, ma Giuseppe, al primo attaccò aereo, dal treno scese ed a casa ancora una volta vi ritornò. Giovane ed intraprendente, con lo spirito del commercio, che sin da bambino gli faceva fare quel suo piccolo commercio di uova, cominciò a commerciare, tra Napoli e Sarnelli, pezzi di tela, che lui tirava per allungarne il metraggio  per guadagnare di più. Aveva messo da parte un bel gruzzolo, che il suo babbo Vitantonio, e suo fratello Nicola, lo convinsero a mettere su una fornace di calce viva. Lui avrebbe continuato il suo commercio di tessuti, che alla fornace ci avrebbero pensato loro due, salvo che i due, ubriacatisi, si addormentarono , facendo spegnere la fornace e rendendola così irrimediabilmente danneggiata. Disperato per aver perso tutto, entrò nelle guardie carcerarie, e prese servizio dapprima nel minorile di Avigliano, poi nel carcere di San Gimignano, di lì andò a fare servizio nel carcere di Teramo dove conobbe e sposò Ines Gina Muscella, la mia mamma e di lì per stare più vicino alla sua mamma Maria, si fece trasferire nel posto più vicino possibile, con i regolamenti dell’epoca: Matera. Quì a Matera ha vissuto e lavorato. Ha fatto servizio nella casa circondariale di Matera, dove è stato per merito, insignito, di una di argento medaglia. Ha avuto da sua moglie Gina, tre figli di cui il secondo, Gabriele, morí di leucemia appena compiuti due anni. Caro babbo mio tu sei nato nel 21 ed oggi avresti centouno anni, ma sei volato in cielo, a due anni dalla mia cecità, e anche per il dolore per quello che mi era successo. Caro babbo mio Giuseppe, sei volato in cielo la mattina, all’alba, il 15 marzo 2002, lasciando me, mia figlia Liliana, la tua adorata nipotina, e mia moglie Bruna in tanto sconforto che il dolore per la tua dipartita, ancor non ci abbandona.

Vito Coviello.

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