Basilicata: la ‘via crucis’ dei dializzati peritoneali.

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Con il Piano di Ripresa e di Resilienza sono stati stanziati 4 mld per portare l’assistenza pubblica in casa dei pazienti. La casa del paziente diventa primo luogo di cura per anziani e malati cronici. Da quasi vent’anni, tuttavia, a Lecco è attivo un dipartimento per le fragilità che eroga cure domiciliari a oltre 350 pazienti anziani, soprattutto, affetti da numerose patologie, ma anche ai più giovani con malattie neurovegetative come la SLA o croniche. Con l’intesa raggiunta tra Stato-regioni i servizi di assistenza a domicilio verranno potenziati e uniformati in tutto il paese, almeno si spera. 4 volte a settimana un geriatra e un infermiere arrivano a casa del signor Giacomo (nome di fantasia), 97 anni, colpito alcuni mesi fa da un ictus e somministrano la loro visita di controllo, medicazioni e rilevazione dei parametri vitali.

Insomma in Lombardia le cure domiciliari possono essere attivate direttamente dopo una ricovero in ospedale per acuti, per favorire l’accesso al domicilio in modo protetto soprattutto adesso in tempo di Coronavirus o, addirittura dal domicilio verso il medico di base per evitare, se possibile un ricovero. I modelli sperimentati finora da alcune regioni sono ben funzionanti. 

Lo stesso ministro Speranza ha affermato che “con l’intesa Stato – Regioni delle cure domiciliari si compie un passo fondamentale per costruire la sanità del futuro; i pazienti sostenuti nel loro percorso di malattia apprezzerebbero tipologia e qualità del servizio.”

Bene, contenti diremo se ogni mondo fosse paese ma ahimè come sempre, Nord e Sud sono distanti anni luce nelle dinamiche nazionali o almeno lo è la nostra amata regione Basilicata. Perché direte voi? Perché qui in Basilicata il paziente non ha nemmeno la facoltà di scegliere la sua cura perché quello che gli viene profilato è il sistema. 

Ma facciamo un passo indietro. Mi chiamo Katya Madio e da quando avevo l’età di quattordici anni ho conosciuto la dura realtà ospedaliera. Sono una nefropatica ossia, una paziente malata cronica per una strana malattia ereditaria ai reni che si chiama Nefronoftisi, in pratica i reni, con il tempo, perdono la loro capacità di filtrare perché si riempiono di cisti e quindi diventano inservibili. L’unica ancora di salvezza e un trapianto d’organo ma, prima che si renda compatibile un rene per noi, abbiamo accesso a una terapia salvavita che si chiama dialisi che può essere fatta attraverso il lavaggio del sangue (emodialisi) oppure quello del peritoneo (peritoneale). La vita di un rene trapiantato non è per sempre. La sua funzionalità si abbassa del 15% ca. dopo una quindicina d’anni. Il mio è durato 30 anni, un successo dicono. Adesso non ce la fa più quindi, dopo una tegolata sulla testa da cui non sempre è facile riprendersi perché questo stravolge nuovamente la tua vita e il tuo equilibrio psico-fisico, decidi quale dei due approcci terapeutici ti sembra più idoneo al tuo stile di vita….quindi semplice direte voi. Eh no perché in Basilicata noi nefropatici che decidiamo di scegliere un altro tipo di cura, quello peritoneale appunto, non possiamo essere seguiti nella nostra regione dobbiamo andare, se va bene e siamo fortunati nel centro più vicino che è Bari perché solo l’ospedale pugliese è dotato di un’equipe specializzata in dialisi peritoneale. Il Centro Regionale Trapianti di Matera, infatti, ne è sprovvisto e già che ci siamo il suo organico si sta riducendo sempre più per un reparto che, insomma, non cura proprio raffreddori. Ovviamente non è il centro che ha colpe e dispone perchè tutto viene manovrato nella stanza dei bottoni, lì dove si decidono le sorti della sanità lucana, in Regione per intenderci, ed è da lì che dovrebbero arrivare le risposte alle tante domande che da un po’ di tempo, il nostro rappresentate Aned, Donato Andrisani, sottopone ma che cadono nel vento.

Attualmente i pazienti della nostra regione, in cura a Bari, per questo trattamento, sono 8 ma tanti altri ne sono stati curati in passato.

Ecco mi chiedo tra regioni che sono avanti luce nelle cure domiciliari e che danno importanza alla cura e al paziente e la nostra che non è in grado nemmeno di fornire le cure basilari, dando loro la possibilità di scegliere spingendo sulle fragilità, sulla vicinanza di un centro dialitico: qual è la differenza? Siamo forse cittadini di serie B? Paghiamo meno tasse? O forse in termini economici attivare centri emodialitici è più conveniente perché evidenzia più interessi economici rispetto a un trattamento domiciliare che ha bisogno solo di un potenziamento nel suo ospedale? A pensar male a volte si fa peccato lo so ma dovendo percorrere oltre 120 km al giorno, come nel mio caso, andata e ritorno….la domanda nel 2021 nasce spontanea. Vorrei sperare che se non proprio 4 mld di euro almeno qualche spicciolo del Piano Ripresa e di Resilienza venga destinato per sanare questa annosa situazione.

Katya Madio

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