LA NOSTRA STORIA. QUEI GIUGNO DEL DOPOGUERRA QUANDO I MIETITORI LECCESI INVADEVANO PISTICCI

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La nostra storia, questa volta, ritorna in quei mesi di giugno di tanti anni fa, quando Pisticci, ma anche altri centri, era invasa da centinaia di mietitori provenienti da zone del leccese. Un  viaggio della  speranza affrontato con notevole difficoltà da questa povera gente, che abbandonava la famiglia e veniva  in cerca di un contratto di lavoro di mietitura, per la durata di  20 -30 giorni  e, magari strappare anche  una promessa di occupazione per il prossimo anno.  Non tutti però erano fortunati nel trovare chi li assumesse  per il tempo della mietitura che, oltre al mese di giugno, toccava a volte anche luglio. Le aziende dell’epoca, ma anche piccoli imprenditori agricoli si rivolgevano a questa categoria per i propri bisogni, anche se l’offerta di occupazione (imprenditori) era notevolmente inferiore alla richiesta di lavoro (operai). Si assisteva così alla invasione delle nostre piazze, da parte di questa gente, umile, tranquilla, educata e rispettosa (mai registrato un episodio di cronaca che dimostrasse il contrario), che si offriva a qualunque prezzo, pur di  poter portare via qualcosa che potesse essere utile a se stesso e  alla propria famiglia, lontana centinaia di  chilometri. Con un paio di falce a tracollo, con pochi ricambi personali, a volte senza scarpe e con pochi spiccioli in tasca, erano li per giorni e giorni nella speranza che qualcuno offrisse un lavoro saltuario. Povertà e miseria, ma anche tanta sfortuna per queste  persone che nell’attesa che qualcuno li reclutasse,   stazionavano in p.zza S. Rocco, in p.zza Umberto I° o in altri siti, senza un piatto caldo o freddo per sfamarsi e senza un letto per dormire. Per questa ultima necessità, di notte sceglievano il corridoio del municipio o il porticato della chiesa di San Rocco, oppure la scalinata della chiesa madre o del serbatoio di Terravecchia. Uno spettacolo da far venire i brividi al limite dell’ umano. E proprio qui che vogliamo ricordare, anche con un certo orgoglio, quella che si dimostrava la generosità di famiglie pisticcesi che, nonostante i tempi difficili dell’epoca, non si davano indietro  per rendersi utile, magari   offrendo un piatto di minestra, una bevanda o qualche indumento da mettere addosso  di chi, magari, bisognoso, non aveva neanche il coraggio di elemosinare. Non possiamo non ricordare per l’occasione, un esempio per tutti, quello che rappresentava   l’impegno e la generosità  di una simpatica anziana donna di Terravecchia, la fornaia di via Franchi, tale zia  Carmela Pantano, da tutti meglio conosciuta con il soprannome di “Marasca”, che si prodigava per offrire un po’ di pane appena sfornato o qualche pezzo di focaccia o calzone  a diversi di questi mietitori, a volte al limite della sopravvivenza.  Una pagina nera della storia di quei tempi, che, sicuramente tanti ignorano e che comunque andò avanti fino a  quando arrivano da noi le prime mietitrici o mietitrebbia. Episodi  che fanno parte di un tempo che fu, che  abbiamo voluto ricordare, come del resto ci regoliamo per altre argomentazioni, con la speranza di poter riuscire a trasmettere un qualcosa che, dopo la lettura, faccia capire meglio e, magari, riflettere su quella che era  la effettiva, grave situazione sociale  di quei tempi.

MICHELE SELVAGGI

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