Quanto costa la “fuga” dei nostri ragazzi?

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Patrizia Gerardi, IdV-Civica popolare Basilicata

La stima del Centro Studi Confindustria  sul costo complessivo della “fuga dei cervelli”, vale a dire i nostri ragazzi che vanno via per studio o lavoro, che raggiunge circa un punto di PIL (14 miliardi di euro l’anno), non può passare inosservata. E’ una cifra altissima che deve diventare uno dei temi dell’imminente campagna elettorale per affrontare i problemi veri delle famiglie e dei giovani. Lo sanno bene le famiglie lucane che con grandi sacrifici sostengono direttamente la spesa dei propri figli per gli studi universitari e post-universitari e sono angosciate dalla mancanza di occupazione stabile e qualificata almeno sulla base della formazione dei giovani. E’ risaputo che persino il master post-laurea potrebbe non bastare più per offrire un’opportunità di lavoro anche a tempo determinato con il risultato che tantissimi laureati e specializzati devono ripiegare magari in un lavoro al call center da 500-600 euro al mese.

Come riferiscono i dati Eurostat, l’Italia ha uno dei tassi di occupazione più bassi d’Europa nella fascia 15-24 anni, con appena il 16,6 per cento di occupati: peggio di noi, nell’UE, solo la Grecia (13 per cento), con la media comunitaria lontanissima al 33,9 per cento. La crisi ha colpito duramente l’occupazione dei giovani, che era sopra il 24 per cento nel 2007-2008. La conseguenza di questa scarsità di opportunità, scrive il Centro Studi Confindustria, è l’emigrazione. Tra il 2008 e il 2015 si è trasferito all’estero mezzo milione di italiani, dice il rapporto.

So bene che non è facile stimare il costo del fenomeno dal punto di vista numerico: la “fuga dei cervelli” è infatti soprattutto una perdita di conoscenze e potenzialità, che danneggia le prospettive di crescita future e si può quantificare solo con difficoltà.  Oltre alla spesa per le famiglie, la formazione è anche una spesa per la collettività. In Italia i laureati under 35 sono il 16,6 per cento, ricorda il Centro Studi Confindustria, e considerando quella percentuale anche per gli emigrati si può stimare che il costo per formare i giovani emigrati nel 2015, dalla scuola primaria all’università, sia stato di 5,6 miliardi di euro.

Torniamo a cifre che fanno rabbrividire economisti ed esperti di programmazione socio-economica. Individuare perciò possibilità ed opportunità per garantire il biglietto di ritorno ai giovani lucani emigrati è una priorità che chiama in causa politiche nazionali e regionali. Senza retorica, senza demagogia e senza false promesse elettorali. E’ un impegno che si deve alle famiglie lucane e per il futuro di una comunità che rischia di perdere intere generazioni e di diventare la terra di anziani e pensionati.

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