Giuseppe Fiorellini: Un mio ricordo di Vittorio Sabia

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Giuseppe Fiorellini, vicepresidente Assostampa Basilicata

La scomparsa di Vittorio Sabia, figura storica del giornalismo lucano e punto di riferimento per tanti giovani che si avvicinavano alla professione giornalistica, impone una rilettura attenta dei suoi scritti, per tentare di rintracciarne l’eredità morale, il messaggio. Nessuno potrà mai giungere alla piena verità, ma procedendo per “fotogrammi” sicuramente è possibile, cogliere tratti significativi del suo impegno professionale e sindacale. Vittorio è stato protagonista diretto di una stagione esaltante, animata giornalisti potentini a metà degli anni ’60, e protesa a rivendicare autonomia sindacale dalla vicina Puglia. Nel suo volume del 1998 “Giornalista? lei non sa chi sono io”, Vittorio racconta la lunga strada dell’autonomia giornalistica lucana. Era l’aprile del 1965 quando, a Potenza nella sede del Circolo Lucano Universitario, fu sottoscritto il primo verbale della nascente Associazione Provinciale della Stampa Italiana, come sezione dell’Associazione interregionale di Puglia e Basilicata, aderente alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Firmarono quel documento giovani che in futuro sarebbero diventati protagonisti dell’informazione regionale. Insieme a Sabia erano presenti: Tonino Dapoto, Lino Viggiani, Raffaele Garramone, Franco Corrado, Saro Zappacosta, Luciano Carpelli e Ferdinando Moliterni. I giornalisti potentini sognavano un’Associazione autonoma perché intendevano comunicare in maniera diretta con la comunità lucana. La mancanza di un quotidiano studiato in Basilicata e diretto da un lucano, dava infatti la percezione di una frattura fra gli operatori dell’informazione e il pubblico. Il dialogo veniva mediato da mezzi di informazione che avevano radici in altre regioni: la Campania, la Puglia o il Lazio, che pur ospitando una pagina della Basilicata, non erano strutturalmente in grado di rispondere alle esigenze della comunità lucana. Né poteva farlo il Corriere della Basilicata della Rai, sia per lo scarso spazio a disposizione, sia perché il mezzo radiofonico non poteva sostituire la carta stampata.  L’Associazione provinciale della stampa si poneva dunque come un mezzo più idoneo per rappresentare le istanze della comunità in cui i giornalisti stessi operavano, elemento di mediazione e di pressione con il potere. Con “Giornalista? lei non sa chi sono io” Vittorio Sabia operò quindi nel 1998 un monitoraggio dei comportamenti del giornalista, importante attore della vita culturale lucana, ponendo una serie di interrogativi e lasciando al lettore le conclusioni e la possibilità di discuterne. “Ma chi è veramente questo testimone della nostra società ? si chiedeva. Dal suo racconto di una esaltante esperienza professionale e sindacale emerge non solo un amore viscerale per la professione, ma anche qualche rimorso. “Un mestiere senza confine – diceva – da sempre combattuto fra il rispetto della verità, la difficoltà della mediazione e le tentazioni di un mondo esterno che prova a mettere le mani sull’informazione”. Emerge insomma lo spaccato di una società che molto chiede alla stampa, ma che poco o nulla fa perché essa sia realmente più vicina ai problemi reali della gente. Per rintracciare quindi uno dei suoi più grandi rimorsi forse bisogna rileggere con attenzione queste sue parole: “anche di fronte a una serie significative innovazioni tecnologiche e strutturali, che hanno cambiato il volto al mondo al modo tradizionale di trattare la notizia, il buco nero dell’informazione è una grande lacuna che non è stato possibile colmare. Nonostante la denunzia continua e precisa di una parte della categoria – osserva Sabia – un’altra parte della stessa ha mostrato superficialità all’approccio del problema, in questo assecondando proprio le disattenzioni di una classe politica che ha pensato più all’immagine propria che alla crescita della categoria”.

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