CIA, CON L’ARRIVO DI GRANO UCRAINO E CANADESE NUOVO DURO COLPO A CEREALICOLTURA LUCANA

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L’arrivo al porto di Bari di navi in particolare dall’Ucraina e dal Canada con grossi quantitativi di grano estero è un ulteriore duro colpo per la nostra cerealicoltura. A sottolinearlo è Leonardo Moscaritolo responsabile nazionale del GIE-CIA (Gruppo Interesse Economico) cerealicolo e dirigente regionale della Cia. “Parlare di crisi – aggiunge – è un eufemismo. I nostri produttori cerealicoli con la campagna 2016 non sono riusciti nemmeno a pagare i contributi Inp. Ci vorrebbero 40 ha di coltivazione con una media di 100 euro ad ettaro di guadagno per pagarli. Le condizioni imposte dal sistema industriale/commerciale, sono assolutamente insostenibili, in quanto ritirano il grano a 16-17 euro/quintale, a un prezzo cioè decisamente al di sotto dei costi sostenuti per la produzione.

Gli agricoltori sono così “costretti a competere con l’immissione nel mercato di frumento proveniente dall’estero, chissà come e da chi prodotto – denuncia la Cia – mentre in Italia si registra oltremodo una produzione straordinaria di 9 milioni di tonnellate di frumento a fronte di una media annua di 7 milioni di tonnellate (+ 29%). L’effetto determinato è lo svuotamento delle scorte in condizioni che gli esperti chiamano di dumping (importazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno, oppure addirittura come avviene sotto costo, da parte di trust già padroni del mercato interno).

“Altro che difesa del “made in Italy” o di “brand Italia” per l’agro-alimentare, qui – dice Moscaritolo – siamo di fronte all’ennesimo e gravissimo caso di attacco ad un prodotto simbolo. La pasta italiana e con essa la cottura perfetta, vanto della pastasciutta all’italiana, tra qualche anno sarà solo un bel ricordo se i pastifici continueranno a lavorare grano estero”.

La Cia – che ha lanciato lo scorso autunno lo “sciopero della semina” come mobilitazione dei cerealicoltori – riferisce che già da qualche anno cresce la tendenza di imprenditori agricoli a non seminare, una scelta che dipende dalle quotazioni basse del grano e dal fattore costi, soprattutto visto che oggi i prezzi di mercato, caratterizzati da una crescente volatilità, non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. I costi produttivi in costante aumento (più 4,4 per cento all’inizio dell’anno, di cui più 6,4 per cento solo per i carburanti) – si evidenzia – hanno portato gli imprenditori del settore al netto rialzo (pari al più 19,1 per cento) dei terreni lasciati a riposo. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato agli agricoltori italiani resta tutt’ora tra i più bassi del mondo.

Il direttore regionale Donato Distefano rilancia un progetto strutturato per il frumento lucano di qualità certificata, spiegando che in Basilicata sono circa 10mila le aziende cerealicole. Alcune idee del progetto: un sistema di quotazioni legato ai parametri qualitativi analitici; differenziare la qualità e classificarla analiticamente oltre ai classici parametri (peso specifico, proteine, glutine, colorazione; certificare e tracciare le produzioni; una campagna promozionale e formativa per le qualità elevate certificate; chiudere la filiera con industria pastaia e della panificazione; una normativa di riferimento per la contrattualizzazione delle varie fasi della filiera; azione formativa ed informativa verso i consumatori. Per la pasta e il pane, che in Basilicata hanno caratteristiche fondamentali per la dieta mediterranea di cui siamo i primi sostenitori -ha detto Distefano- il rischio è di utilizzare grano estero di qualità decisamente inferiore.

Per la Cia “il settore necessita di una diversa organizzazione di filiera, attraverso il sostegno della qualità, della ricerca applicata al settore agroalimentare, tutti elementi che possono aumentare il potere contrattuale della produzione rispetto alle industrie di trasformazione”. “Senza provvedimenti, per rientrare almeno dei costi di produzione, gli agricoltori saranno costretti a investire meno e quindi a realizzare un prodotto meno qualitativo. Se questo dovesse accadere, a perderne sarebbe tutto il sistema agricolo italiano”.

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