Michele Napoli (FI): Replica alla Nota Stampa del Presidente Associazione Viveredonna

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Nessun trasferimento di fatto dell’unità di senologia dal San Carlo al Crob bensì l’istituzione non solo formale ma “di fatto” di una Breast Unit regionale che, a mio avviso, potrebbe validamente essere collocata al Crob Irccs di Rionero. E’ questa, in soldoni, la proposta da me lanciata qualche giorno fa nel corso di una Conferenza stampa che spiegava la necessità di dare corso ad indicazioni emerse in sede di Conferenza Stato – Regioni sulla scorta di precise direttive europee.

Del resto, è o non è l’Irccs di Rionero in Vulture l’istituto di ricerca e cura, a carattere scientifico, dedicato all’eccellenza assistenziale oncologica?

Per comprendere meglio la validità della proposta lanciata, mi corre l’obbligo di spiegare cosa è una Breast Unit.

E’ una unità senologica complessa e multidisciplinare, costituita da chirurghi, senologi, radioterapisti, genetisti, medici di anatomia patologica, nutrizionisti, radiologi in grado di elaborare, in maniera concertata, un percorso di diagnosi coordinato ed unitario per consentire al paziente maggiori possibilità di sconfiggere il cancro e al sistema sanitario di risparmiare risorse.

Una struttura, quindi, che ha il compito di garantire il coordinamento delle molteplici attività che intervengono nel percorso terapeutico dedicato ai malati di tumore, utile agli operatori sanitari per confrontarsi unitariamente su determinate metodologie di cura e, nel contempo, di implementare in Basilicata “best practice”, anche mutuate da altri contesti territoriali.

Non si tratta, quindi, di togliere qualcosa a qualcuno per attribuirla a qualche altro.

Al contrario si è al cospetto di un atto di responsabilità volto a realizzare in Basilicata, per davvero, un qualcosa che secondo evidenze scientifiche permette ai malati di tumore di raggiungere percentuali di guarigione superiori del 10 per cento rispetto a quelle che riescono a garantire i territori e i sistemi sanitari regionali privi di una Breast Unit.

Del tumore alla mammella ne esistono tante varianti, l’una diversa dall’altra.

Per assicurare un percorso di cura efficace è fondamentale che ad una diagnosi corretta segua una terapia appropriata.

E’ oltremodo però indispensabile che la ricerca scientifica supporti le cure e che il paziente sia attentamente seguito anche dopo il trattamento chirurgico.

Sono aspetti, questi, che sono meglio garantiti laddove i medici che intervengono nel percorso di cura fanno sintesi tra di loro ed elaborano una strategia terapeutica condivisa.

Che i medici siano sovente riluttanti a dialogare tra di loro non lo scopre di certo Michele Napoli.

Che la Basilicata sia in possesso di validissime professionalità è verissimo ma altrettanto vero è che è difficile, nella nostro sistema sanitario, farle lavorare in equipe.

Un limite culturale che stenta a morire e che reca in sé la presunzione di mortificare i richiami nazionali ed europei che antepongono la necessità di garantire le migliori risposte alle sempre maggiori ed esigenti domande di salute rispetto a sterili ed ormai superati approcci di stampo provincialistico.

La possibile soluzione dei problemi, invece, è a portata di mano.

La Breast Unit regionale consentirà agli ospedali di dialogare tra di loro.

Metterà “in rete” esperienze e realtà assistenziali anche diverse con l’indubbio miglioramento della qualità delle cure ed un probabile risparmio di risorse.

Può mai la comunità preoccuparsi di chi deve dirigere la Breast Unit o dove la stessa deve essere collocata?

O forse al cittadino interessa la realizzazione di un progetto finalizzato a elevare la qualità delle cure e una prospettiva di vita migliore e più lunga laddove si è colpiti da una patologica oncologica?

Perseverare in logiche egoistiche, antitetiche ed ormai superate dalla storia sarebbe un errore imperdonabile.

Di fronte ad un film già visto, che va in onda da troppi anni, e che senza dubbio non ha giovato a quanti, purtroppo, in Basilicata si ammalano di tumore, preferiamo scrivere un nuovo copione realizzato sulla scorta di inoppugnabili evidenze scientifiche e virtuose governance.

Lo impone il Programma Nazionale Esiti che registra volumi (cioè al numero degli interventi per tumore alla mammella) e esiti (cioè alla qualità) delle prestazioni erogate dalle nostre strutture sanitarie con riferimento al carcinoma mammario tutt’altro che benevoli.

Se a Matera, nel 2015, sono stati effettuati 43 interventi per tumore alla mammella, meno di un terzo del limite minimo prescritto dalle direttive e dalle linee guida ministeriali, occorre l’onestà e la coerenza intellettuale di ammettere che o le donne di quel fazzoletto di territorio sono immuni al carcinoma mammario, e di certo non lo sono, o che le stesse vanno a ricoverarsi in altri ospedali.

Una considerazione, al riguardo, la merita l’indice di migrazione sanitaria per tumori della Basilicata.

Se più di un lucano su quattro malato di tumore va a curarsi in Ospedali fuori regione c’è un motivo: quello che era possibile e doveroso fare non sempre è stato fatto.

Occorre dunque invertire questa tendenza, anche a costo di costringere qualche illustre professionista a spostare la propria sede di lavoro di qualche chilometro.

Sarà sempre meglio che costringere i malati di cancro a compiere centinaia di chilometri alla ricerca di cure più efficaci ed appropriate.

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