ITREC ROTONDELLA: CASTELLUCCIO, RICONVOCARE TAVOLO TRASPARENZA

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Le “interferenze” allo smantellamento dell’Itrec di Rotondella di cui ha parlato Luca Desiata, amministratore delegato di Sogin, in audizione  in Commissione Attività produttive della Camera e l’invio di 21 lettere di licenziamento nei confronti di altrettanti lavoratori impiegati in attività del Centro riaccendono l’attenzione istituzionale su una questione che si trascina da anni e che, secondo previsioni Sogin , è destinata a durare ancora per decenni, tenuto conto che le attività di decommissioning termineranno fra il 2028 e il 2032. E’ quanto afferma il vice presidente del Consiglio Regionale Paolo Castelluccio (Fi) per il quale si pone innanzitutto l’esigenza che il Tavolo della Trasparenza, istituito dalla Presidenza della Giunta, acquisisca il verbale di audizione dell’ad Sogin per un’attenta valutazione. Da notizie giornalistiche per il laboratorio Itrec «l’interferenza più significativa è quella tra le attività di bonifica della Fossa 7.1 (nota come la fossa del monolite) e la realizzazione dell’edificio di processo dell’Impianto di Cementazione Prodotto Finito (Icpf) in quanto il monolite che si trova nella Fossa 7.1 insiste sulla superficie sulla quale sarà costruito questo edificio». La società aggiunge che «al momento sta portando avanti la realizzazione delle opere civili del deposito temporaneo (l’altro edificio che completa l’impianto Icpf)» e che «in parallelo» è «impegnata ad accelerare le operazioni di bonifica della Fossa 7.1, che permetterà di completare l’Icpf e, quindi, svolgere la solidificazione anche del cosiddetto “prodotto finito”». Stando al progetto approvato dallo Stato italiano, infatti, le scorie lucane dovranno essere manipolate in loco e, a tal fine, Sogin deve costruire due edifici: una sorta di laboratorio in cui «neutralizzare» e «solidificare» i rifiuti liquidi radioattivi e un deposito. Secondo le informazioni giornalistiche, dato che la data d’approntamento di questo Deposito di scorie a bassa e media radioattività dovrebbe essere il 2025 – se tutto va bene – i veleni del monolite resteranno all’Itrec almeno per altri otto anni. E’ evidente – dice Castelluccio – che c’è la necessità di acquisire ufficialmente tutte le notizie necessarie e valutare ogni possibilità di coinvolgimento delle imprese locali negli appalti di lavori, servizi e forniture presso l’impianto Trisaia secondo un’antica e sempre attuale sollecitazione delle associazioni imprenditoriali.

E’ trascorso un anno dall’ultimo sopralluogo a Rotondella dell’allora assessore Berlinguer (febbraio 2016) con la visita tra l’altro proprio del deposito interrato e non mi pare sia accaduto nulla di nuovo: i lavori procedono con una lentezza esasperante  e la partita dell’individuazione della sede del deposito nazionale è tutta aperta senza alcuna garanzia per Rotondella e la Basilicata.

Quanto ai licenziamenti – afferma il vice presidente del Consiglio – è intollerabile che nonostante ritardi, inadempienze, sottovalutazioni, responsabilità nazionali e di Sogin  a pagare le conseguenze siano solo e soltanto i lavoratori. Bisogna perciò scongiurare ogni cessazione di rapporto di lavoro”.

Luca Desiata l’amministratore delegato di Sogin, la società pubblica incaricata di eliminare quasi tutti gli impianti nucleari nazionali e della costruzione di un deposito per il pattume radioattivo italiano. Per la precisione, Desiata in audizione ha parlato di «interferenze» di ordine «tecnico» e oggi la Sogin spiega alla Gazzetta che per il laboratorio atomico lucano «l’interferenza più significativa è quella tra le attività di bonifica della Fossa 7.1 (nota come la fossa del monolite; ndr) e la realizzazione dell’edificio di processo dell’Impianto di Cementazione Prodotto Finito (Icpf) in quanto il monolite che si trova nella Fossa 7.1 insiste sulla superficie sulla quale sarà costruito questo edificio». La società aggiunge che «al momento sta portando avanti la realizzazione delle opere civili del deposito temporaneo (l’altro edificio che completa l’impianto Icpf)» e che «in parallelo» è «impegnata ad accelerare le operazioni di bonifica della Fossa 7.1, che permetterà di completare l’Icpf e, quindi, svolgere la solidificazione anche del cosiddetto “prodotto finito”». Stando al progetto approvato dallo Stato italiano, infatti, le scorie lucane dovranno essere manipolate in loco e, a tal fine, Sogin deve costruire due edifici: una sorta di laboratorio in cui «neutralizzare» e «solidificare» i rifiuti liquidi radioattivi e un deposito.

Va detto che in questa «fossa», interrata per circa 7 metri dal piano di campagna, ci sono veleni radiotossici da almeno mezzo secolo, da quando questo laboratorio atomico fu costruito nel bel mezzo della Basilicata per fare esperimenti nel ciclo del nucleare. Nell’estate 2014, proprio mentre Sogin cercava di operare su questa macedonia micidiale, dal monolite è colata una sostanza che ha contaminato qualche metro di terreno e gettato nel panico lucani e pugliesi. Oggi Sogin spiega come in quella fossa «suddivisa in 20 manufatti, sono stoccati rifiuti di bassa e media attività fra i quali: teste e puntali degli elementi di combustibile, filtri e resine dell’impianto di trattamento dell’acqua della piscina dell’impianto e residui delle manutenzione che erano svolte durante l’esercizio dell’impianto. Questi rifiuti, dopo essere stati recuperati, saranno messi in sicurezza al fine di destinarli al Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi». Ovvero, visto che la data d’approntamento di questo fantomatico Deposito di scorie a bassa e media radioattività dovrebbe essere il 2025 – se tutto va bene – i veleni del monolite resteranno all’Itrec almeno per altri otto anni.

E la medesima sorte dovrebbe toccare alle famose barre uranio-torio di Elk-River. In proposito la Sogin chiarisce che «come riferito in sede di audizione parlamentare, allo stato attuale per queste barre è previsto lo stoccaggio a secco in appositi Cask (speciali contenitori blindati; ndr)». E se, come pare, nessuno Stato estero accetterà di prendersi il particolare concentrato di isotopi lucano? Sogin dice di prevedere «lo stoccaggio a secco dei 64 elementi di combustibile Elk River. Al riguardo verranno inseriti in due Cask che conterranno, ciascuno, 32 elementi. I Cask saranno, temporaneamente, ospitati all’interno dell’impianto, fino al loro conferimento al Deposito nazionale».
Circa il «dove» sorgeranno il Deposito per le scorie a bassa e media intensità e il Deposito per quelle altamente radiotossiche, la Sogin tace e passa la parola ai ministeri competenti. Però, in seguito alle domande poste in audizione, dall’on. barese Dario Ginefra (Pd), Sogin dovrà presto rispondere ai quesiti relativi agli assetti antiterrorismo che dovranno avere i magazzini sempiterni dell’esperienza nucleare italiana.

Intanto, tra problemi «tecnici», nuovi assetti interni alla società, e nuovi interlocutori nazionali (con un ritardo scandaloso sta diventando operativo l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) i lavori in Basilicata vanno a rilento. Ovviamente sono stati già spesi un po’ di soldi pubblici: stando alla Sogin «allo stato attuale, i costi delle attività connesse allo smantellamento di Itrec sono pari a circa 70 milioni di euro. Il costo complessivo delle attività di decommissioning (lo smantellamento; ndr) del sito di Trisaia è stimato in circa 250 milioni di euro».

Febbraio 2016 Un sopralluogo chiesto dall’assessore regionale all’Ambiente Aldo Berlinguer per dar seguito ai lavori del tavolo di trasparenza, allargato a comitati, associazioni, amministratori e organi di stampa: l’impianto Itrec di Rotondella apre così le porte in una visita per spiegare le attività in itinere, la sicurezza degli impianti, l’allontanamento del combustibile nucleare esaurito, la decontaminazione, e la gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Attivo dagli anni Sessanta, l’impianto è attualmente gestito dalla Sogin. Presenti, al sopralluogo, anche i vertici dell’Ispra e dell’Arpab. Sono stati essenzialmente quattro i siti visitati: la bonifica del deposito interrato (la cosidetta Fossa 7.1), un monolite di circa 8 metri di altezza; l’impianto di cementazione del prodotto finito e annesso a deposito temporaneo, la sistemazione a secco del combustibile Elk-River, le famose barre arrivate dall’America in Italia negli anni Settanta e i depositi temporanei di rifiuti radioattivi.

possibilità di coinvolgimento delle imprese di Rotondella negli appalti di lavori, servizi e forniture presso l’impianto Itrec di Trisaia. Nella lettera, inviata anche al responsabile dell’impianto di Trisaia Edoardo Petagna, e al sindaco di Rotondella Vito Agresti, il presidente di Confapi evidenzia che il piano di committenza per i lavori di dismissione del sito Itrec di Rotondella rappresenta un’importante opportunità per le imprese locali. Tuttavia, finora la forte limitazione delle condizioni di accesso alle gare ha prodotto una scarsa ricaduta sul territorio dei lavori di dismissione del sito. Tra Sogin e Confapi Matera esiste un protocollo d’intesa che instaura un rapporto di collaborazione e corrette relazioni tra la Spa governativa e l’Associazione imprenditoriale, con lo scopo di creare nel tempo maggiore valore per le imprese locali e per il territorio in generale. Per l’Associazione è importante coinvolgere le imprese del territorio in un’opera di informazione e formazione dei lavori da effettuare, del sistema di qualificazione e delle procedure di gara. Confapi Matera auspica, tuttavia, che le imprese locali siano maggiormente coinvolte, quando sussistono i requisiti tecnici ed economici per partecipare alle gare d’appalto, nel pieno rispetto del codice degli appalti e del regolamento di qualificazione proprio di Sogin. Conosciuti i piani di committenza, Confapi chiede la suddivisione degli appalti in lotti più piccoli e, soprattutto, la previsione di criteri di qualificazione non preclusivi per le imprese del territorio. Inoltre, Confapi chiede che, data la discrezionalità che la legge concede negli inviti per determinate procedure di gara, Sogin inviti un numero più elevato di imprese del territorio rispetto al minimo previsto per legge, al fine di garantire una piena e leale concorrenza e qualità, dando a tutti gli operatori locali l’opportunità di concorrere.

Le attività di decommissioning termineranno fra il 2028 e il 2032, un intervallo di quattro anni che risponde alla necessità di rappresentare l’alea legata alla natura prototipale di molte attività di decommissioning, con la data centrale più probabile come anno di fine dei lavori.

Raggiunta questa fase i rifiuti radioattivi, già condizionati e stoccati nei depositi temporanei del sito, saranno pronti per essere trasferiti al Deposito Nazionale (raggiungimento della fase chiamata brown field).

Con la disponibilità del Deposito Nazionale i rifiuti radioattivi saranno allontanati e il sito potrà quindi essere riportato allo stato di green field, ovvero a una condizione priva di vincoli radiologici, che consentirà il suo riutilizzo.  partita del deposito nazionale è ancora tutta da giocare. Il prossimo passo sarà la pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare il sito (CNAPI), che darà poi il via alle consultazioni popolari.

Nel frattempo, a Trisaia non tutti passano sonni tranquilli. La vera paura, infatti, è che non solo le barre di Elk River non se ne andranno, ma che a Rotondella potrebbero convergere tutte le scorie nucleari d’Italia.

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