DANNI DA FAUNA SELVATICA: LE RISPOSTE LATITANO MA I DANNI PER LE AZIENDE AGRICOLE SI RIPETONO QUOTIDIANAMENTE

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Nelle campagne lucane diventa sempre più problematica la convivenza tra agricoltori e fauna selvatica. La denuncia arriva da Coldiretti Basilicata dopo le segnalazioni di danni provocati alle colture dagli animali allo stato brado. Ogni anno vengono abbattuti 6 mila cinghiali, e in base ad un calcolo fornito dalla Regione quelli ammissibili sono 22.800, a fronte di una stima di capi presenti pari a 123 mila esemplari. “Si tratta di problematicità che vanno affrontate senza ulteriori rinvii – fa sapere Coldiretti – anche rinnovando alcuni principi in materia di pianificazione faunistico-venatoria del territorio e della programmazione di caccia, tenendo conto dei nuovi strumenti di tutela e di gestione dell’ambiente previsti dall’Unione Europea. 
È recente, a tal proposito, la pubblicazione degli orientamenti europei per gli aiuti di Stato nei settori agricolo e forestale e nelle zone rurali 2014-2020 che stabiliscono le misure che possono essere adottate per prevenire e risarcire i danni causati agli agricoltori dagli animali protetti, intendendosi per tali quelli individuati dalla legislazione europea e nazionale. Purtroppo, si deve prendere atto del fatto che la normativa nazionale che disciplina il settore e, in particolare, le previsioni contenute nella legge del 1992, che avrebbero dovuto contenere il fenomeno, non risultano efficaci, nè sul piano della prevenzione, né sotto il profilo del controllo numerico degli animali o del risarcimento dei danni”. Tra le varie specie presenti il cinghiale riveste un ruolo del tutto particolare in quanto provoca, oltre al danneggiamento diretto alle colture, anche un notevole rischio per l’incolumità delle persone e la possibilità di danni a beni, soprattutto in relazione agli incidenti stradali. Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita di questa specie sono legati a vari fattori. Tra questi, le immissioni a scopo venatorio, hanno giocato un ruolo fondamentale; come pure la tecnica della braccata praticata, quasi esclusivamente, dai cacciatori ai confini delle aree protette, che in Basilicata rappresentano un’area di circa 200.000 ettari, hanno spostato il centro dell’attività di questa specie in aree più ampie e, comunque, in zone vocate dal punto di vista agricolo. Le aree protette, in definitiva, sono diventate un polmone di riproduzione ed irradiazione per tutta la Regione. Quindi è sempre più insostenibile e costosa la convivenza sul territorio tra agricoltori e fauna selvatica. “C’è poi da considerare che il computo ufficiale dei danni non dà l’esatta realtà del fenomeno, in quanto spesso gli agricoltori rinunciano a fare domanda di risarcimento, scoraggiati dai tempi lunghissimi e dalle estenuanti procedure burocratiche. I risarcimenti poi sono davvero irrisori e non tengono conto – conclude Coldiretti – tra l’altro, dell’ulteriore danno subito se non si riescono a mantenere eventuali impegni contrattuali presi con gli acquirenti a seguito della devastazione delle colture”.

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